Quando parliamo di impermanenza e morte non parliamo di qualcosa di bizzarro. È esperienza umana, la nostra esperienza. Stiamo parlando della nostra esperienza. La nostra esistenza su questa terra si riduce al movimento del nostro respiro, dentro e fuori. Questa è la vita, questo è tutto quanto importa. Il giorno in cui espiriamo ma non inspiriamo, è il giorno in cui moriamo. Quando il nostro respiro esce e non ritorna indietro, ciò è quello che chiamiamo morte, la separazione della nostra coscienza dal nostro sistema nervoso fisico. È tutto. Non vi chiediamo di credere a qualcosa di stravagante, di soprannaturale.
Il buddismo afferma che l’ego è una concezione errata e che percepisce le cose in maniera errata; ecco perché definiamo il mondo che vediamo una fantasia, un fenomeno illusorio. Ciò non significa, comunque, che non c’è causa ed effetto. Il karma tuttavia esiste. Il modo in cui il nostro ego interpreta il bello e il brutto, il buono e il cattivo, la reputazione delle persone e così via, tutte queste discriminazioni sono fantasie che non hanno nulla a che fare con la realtà dei fenomeni.
Perché diciamo che sono fantasie? Perché quando osserviamo gli altri, per esempio, li vediamo come concreti, immutabili. Gli uomini vedono le belle donne concrete, le donne vedono gli uomini affascinanti concreti, reali. E non solo. Vediamo tutti i piaceri sensoriali come reali: il calore del sole, le spiagge, la stessa Ibiza – è tutto un prodotto della fantasia , una allucinazione allettante, senza alcuna realtà.
Così siamo sempre insoddisfatti perché ci aspettiamo un piacere permanente basato su esperienze precedenti di convinzione di piacere concreto. L’aspettativa causa l’insoddisfazione. Ciò significa semplicemente che non siamo in contatto con la realtà, o, per usare la terminologia buddista, siamo illusi – non vediamo le cose come veramente sono. Tra la realtà e la nostra visione di essa c’è una sorta di proiezione contaminata.
Non accettare la realtà dell’impermanenza, il cambiamento e la morte stessa, significa che viviamo in una fantasia costruita da noi stessi. Ci nascondiamo dalla realtà, abbiamo paura di essa. L’occidente pensa che le persone che non guardano all’impermanenza e alla morte sono intelligenti, avanzate. Non lo sono.
Chiedete a voi stessi, perché avete paura della realtà della morte? Individualmente dobbiamo chiederci, “Perché ho paura della morte?” La risposta deve sorgere dentro di voi, non da qualcun altro.
Quando persone occidentali sperimentano insegnamenti del Lamrim su impermanenza e morte, capiscono il loro scopo. Sono intelligenti, svegli. Capiscono perché i monaci tibetani himalaiani dicono che dovrebbero avere una paura positiva della morte. Se siete così spaventati da non potere neppure ascoltare questo argomento, di chi è il problema? È problema di Dio, problema di Buddha, problema della realtà o cosa? Comunque, è un problema!
La ragione per cui non capiamo che le nostre vite sono della natura dell’impermanenza è che siamo interessati soltanto ai piaceri mondani proiettati dalla immaginazione concreta del nostro ego e ci afferriamo costantemente ad essi. Questa ossessione ci impedisce inoltre di essere consapevoli che il momento della morte è imprevedibile. Non abbiamo alcuna idea di quando arriverà la nostra morte. Quando lo superiamo e capiamo la natura impermanente delle nostre vite, questa comprensione diventerà conoscenza, saggezza, che ci libererà dalla paura della morte. È una idea errata che la costante consapevolezza della certezza della morte ci possa spaventare. È l’opposto: ci libera dalla paura e ci libera dal continuo afferrarci al mondo sensoriale. Capire l’impermanenzaa ci libera dall’afferrarci all’ego.
Osservate le raffigurazioni tibetane della ruota della vita. Potete vedere che tutti i 6 reami sono nella stretta di Yama, il Signore della Morte. Lo scopo di questo disegno non è soltanto di spaventare le persone. È la rappresentazione simbolica dell’intero universo della nostra esistenza relativa, impermanente, da cui non abbiamo scampo se non lo capiamo.
A dire il vero, ho detto che è tibetano, ma, in realtà, non è stato inventato dai tibetani. Questa rappresentazione illustrata dell’esistenza ciclica fu creata dal Buddha stesso più di 2500 anni fa e si può trovare nei suoi insegnamenti vinaya. Li commissionò per conto del suo sostenitore, re Bimbisara di Magadha, che stava cercando un regalo appropriato per il potente re Udrayana, che ottenne la liberazione quando arrivò a capire la natura impermanente del samsara meditando sul significato del dipinto.
Vedete, l’idea occidentale di intelligenza è diversa da quella buddista. Quando gli occidentali ascoltano la spiegazione del Signore Buddha dell’impermanenza e della morte, pensano che stia tentando di spaventarli. È una comprensione di bassa qualità, una mancanza di saggezza penetrante. Quando comprendiamo correttamente la realtà, abbiamo meno paura. Di fatto, la morte può essere esperienza felice piuttosto che complicata.
Persone occidentali superficiali pensano che la vita sia fantastica. “Il sole splende, mangio pane, formaggio e spaghetti, sono bello, i miei amici sono belli, tutti sono felici…”. È una concezione totalmente errata. Non siete felici. Innanzitutto, cosa è bello? Voi siete belli, allora tutto è bello. La vostra interpretazione del vostro oggetto di bellezza è una illusione.
Lama Thubten Yeshe diede questo insegnamento a Ibiza nel 1977.
A cura di Nicholas Ribush